mercoledì 20 luglio 2011

Incontro con Andrea Tornaghi, architetto

Il settore dell’architettura vive una fase di evoluzione permanente: nello specifico, si tratta di uno scenario in cui emergono sempre nuove esigenze di tipo abitativo civile (per i privati) e di tipo business (per le superfici retail, per le sedi aziendali e per location di eventi), uno scenario complesso che vede impegnati diversi professionisti nel realizzare progetti ad hoc per l’organizzazione ottimale e funzionale degli spazi. Ne parliamo con l’architetto Andrea Tornaghi, monzese, classe 1967, professionista con un significativo background maturato sia in Italia che all’estero negli ambiti edilizia, ristrutturazioni, interior design, retail and hospitality design, certificazioni energetiche e industrial design.

Dottor Andrea Tornaghi, oggi, cosa significa essere architetto?

"Essere architetto è un privilegio che porta con sé molte responsabilità. Significa poter inventare ogni giorno spazi e oggetti nuovi, ma, soprattutto, confrontarsi con chi dovrà fruire ciò che noi, per suo conto, progettiamo. Il “Design”, non solo industrial, deve rispettare sia forma che funzione, troppo spesso, quest'ultima, dimenticata. Significa anche, sempre di più, attenzione ai nuovi materiali e tecnologie: solo pochi anni fa, nessuno sapeva cosa fosse un “cappotto” e, ora, costruiamo case con consumi energetici estremamente ridotti e sempre più orientate verso l'autosufficienza energetica"

Che ruolo svolge l’architettura nell’ambito della società contemporanea?

"Davvero una bella domanda. L'architettura è portatrice di una forza dirompente, è una delle ultime discipline umanistiche in grado di cambiare il nostro modo di vivere e il nostro territorio. Nel corso dei secoli, ha prestato la sua arte sia per luoghi di culto che per fortificazioni ed edifici monumentali e celebrativi. Oggigiorno, perlomeno in Italia, sembra un po' svilita quasi fosse inutile. I nuovi monumenti sono diventati i centri commerciali e le amministrazioni non si prodigano di certo per creare veri luoghi di aggregazione e concreti spazi pubblici. Sono stato di recente a Barcellona ed è stata una boccata d'aria: la città vive e ogni edificio pubblico è pensato per la collettività anche negli spazi accessori. Quanto ai centri commerciali di cui sopra, è stato appena inaugurato in Piazza di Spagna quello realizzato dalla mano di Foster al posto della Plaza de Toros o, meglio, dentro di essa: un esempio di come sia possibile integrare una funzione nuova e moderna nel mezzo della storia della città"

In base alla sua pluriennale esperienza, come nasce un progetto architettonico e quali sono le sue principali linee guida?

"La partenza sono le necessità del cliente e i suoi desideri che trovano espressione e guida nel nostro intervento. Sia che si tratti di un'abitazione, di uno spazio retail o di un albergo, muovo dai volumi, dal generale scendendo, poi, via via fino al minuto particolare. Ci sono però idee che permeano di sé il progetto fin dall'inizio, quali i materiali che si intendono usare o il tipo di percezione che si desidera avere dei volumi"

A suo avviso, quale deve essere il risultato finale di un progetto architettonico?

"Il benessere. Come dicevo prima, l'architettura influenza la nostra vita e lo fa spesso fisicamente. Le faccio un esempio: a Milano, in Via Montenapoleone, c'era un negozio di Versace estremamente decorato, in stile neoclassico del quale molti sono stati detrattori. Gli spazi erano però molto ben progettati e soprattutto vi erano armonia e proporzione: dentro quel negozio si stava molto rilassati, a proprio agio. L'obiettivo era stato raggiunto completamente. Per contro, vi sono edifici che ci fanno stare male: a Basilea, vi è lo Schaulager, edificio progettato come magazzino di opere d'arte, aperto per alcuni mesi l'anno come museo. L'edificio è interessante, senza dubbio un ottimo magazzino, ma, per il visitatore, risulta stressante e claustrofobico: durante la visita, sono stato colto da nausea crescente, scomparsa una volta uscito all'aperto"

Sul versante dell’impatto visivo, che cosa deve comunicare ai propri fruitori la realizzazione finale di un progetto architettonico ottimale?

"Non credo ci possa essere una risposta univoca a questa domanda. Ognuno di noi ha una propria sensibilità estetica, a volte, molto sviluppata e, altre volte, pochissimo sviluppata. Inoltre, differenti sono le richieste in partenza. In linea generale, dovrei rispondere “appagamento” per il risultato raggiunto: qualcosa che rispecchi e, se possibile, superi le aspettative del cliente. Si tratta di fattori quali la freschezza per un negozio, l’autorevolezza per uno studio legale, la magnificenza per uno spazio celebrativo..."

Lei è anche designer di interni, in particolare, per il settore furniture. Quale deve essere il valore aggiunto di un prodotto di design?

"La comodità, la semplicità e la logica di fruizione. Un qualsiasi prodotto viene prima disegnato e il riconoscimento del creatore è storia recente. C'è stata una corsa all'oggetto di “design” inteso come accattivante, strano, esteticamente riuscito: in questo ambito, Alessi ha fatto storia. Questo ha, però, portato all'esasperazione e alla riduzione, spesso, del design a una valenza puramente estetica, mentre è vero il contrario: la parte tecnica ha un’enorme importanza. Quindi, il valore aggiunto, ciò che rende un prodotto di design degno di tale nome è il perfetto amalgama tra forma e funzione, quasi diventassero una cosa sola"

In assoluto, qual è il progetto al quale lei sente di essere maggiormente legato?

"In realtà più di uno, ma forse l'ultimo, che mi sta dando molte soddisfazioni. Una ristrutturazione di un edificio industriale trasformato in residenza dove la sintonia con la committenza è stata totale e in cui abbiamo potuto utilizzare materiali naturali come il sughero e la lana e ci siamo confrontati con spazi forse rigidi ma ampi: con una serie di aperture, abbiamo realizzato dei cannocchiali per cui da ogni locale si leggono due, tre piani in profondità e si percepisce come un costante fluire di un locale dentro un altro, fino al giardino"



Info:

tornaghi@vf10.it
http://it.linkedin.com/pub/andrea-tornaghi/27/363/956

Premio Aretê 2011 alla comunicazione responsabile

Roma, 19 luglio 2011 - Valorizzare la comunicazione che mette al primo posto i valori sociali e di civiltà: è questo l’obiettivo del Premio Aretê (in greco un percorso virtuoso di pensiero, sentimento ed azione) che ormai da otto anni segnala alla business community in particolare e all’opinione pubblica in generale, i soggetti che nel corso dell’ultimo anno si sono distinti per la correttezza nella comunicazione responsabile.
Il premio, promosso da Pentapolis con Confindustria, si svolge in collaborazione con ABI - Associazione Bancaria Italiana ed è patrocinato da numerose associazioni, fondazioni e istituzioni attive sul fronte della CSR e della sostenibilità (Sodalitas, Anima, Legambiente, Manageritalia, Fondazione Pubblicità Progresso, CittadinanzAttiva, Ascai, Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano).
Presidente della giuria 2011 è Alessandro Laterza, Presidente della Commissione Cultura di Confindustria.
L’evento di premiazione si terrà a Roma il 28 novembre 2011 ed è inserito nel calendario della Settimana della Cultura d’Impresa di Confindustria. Protagonisti della giornata saranno i “100 giovani per i 100 anni” un progetto per la selezione, formazione e inserimento di giovani talenti che ha caratterizzato le celebrazioni del centenario di Confindustria. Il progetto punta a facilitare il passaggio dei giovani dal mondo accademico a quello del lavoro. Nel corso delle selezioni il gruppo assegnerà il Premio Speciale 100 Giovani alla migliore iniziativa di comunicazione responsabile presentata ad Aretê.
Nel corso della giornata sarà presentato inoltre il Rapporto Aretê 2011 sulla Comunicazione Responsabile in collaborazione con RGA e i Rapporti Il Sole 24 Ore.
Ciascun candidato può iscrivere al Premio fino ad un massimo di tre progetti fra campagne pubblicitarie, prodotti editoriali, eventi e iniziative con finalità di comunicazione nelle seguenti categorie: Comunicazione d'Impresa, Comunicazione Pubblica, Comunicazione Sociale, Comunicazione Finanziaria, Comunicazione Interna, Editoria, Media (Radio/TV), Internet. Per partecipare occorre iscriversi online dal sito www.premioarete.com. L'iscrizione è gratuita. Saranno ammesse le iscrizioni effettuate entro il 7 ottobre 2011 e relative ad iniziative svolte nel corso dell'ultimo anno.
Dichiarazione di Enzo Argante, Presidente Pentapolis e Premio Aretê: “Il Premio è indirizzato a aziende pubbliche e private, editoriali e finanziarie, enti e associazioni, agenzie di pubblicità e case di produzione, chiunque e a qualsiasi titolo si relazioni con i consumatori/utenti attraverso tecniche e tecnologie di comunicazione, di informazione, di intrattenimento ha l’opportunità di proporre forme e contenuti che abbiano una reale funzione educativa e che contribuiscano alla definizione di nuovi format. Perché l’elemento strategico chiave della comunicazione - informazione - intrattenimento non può più essere unicamente l’aspetto creativo fine a stesso, ma la capacità di rendere responsabile il messaggio. La comunicazione responsabile non è una comunicazione di solidarietà o di funzione sociale, ma si ascrive alle attività correnti di una azienda che veicola informazioni chiare, concrete e di valore, sia nell’ambito delle iniziative editoriali e di intrattenimento che sui prodotti e sui servizi che vende. L’azienda che comunica in modo responsabile contribuisce ad accrescere il proprio valore economico, rafforza il rapporto con i portatori di interesse, svolge un ruolo diretto nella formazione della coscienza collettiva per un futuro sostenibile”.

Per contatto:
Marika Donatiello
L'Aurora Comunicazione e Marketing
donatiello@lauroracomunicazione.it